«Per poter veramente affrontare la “malattia”, dovremmo poterla incontrare fuori dalle istituzioni”
Poter: potere nella malattia psichiatrica è un verbo molto complesso da declinare. Il concetto di potere infatti non può mai essere univoco. Cosa significa potere? Essere in grado, saper fare oppure semplicemente avere potere, dominare? Senza essere banali, nella cura contemporanea dei disturbi mentali, potere significa mettersi in rete, collaborare, offrire al paziente, se necessari, molti punti di vista differenti. “Fare squadra” è il modo per prendersi cura della fragilità terribile e della sofferenza che a volte, ancora, non si può nominare o rivelare.
Affrontare: il disturbo psichiatrico è da sempre considerato qualcosa da affrontare, da sconfiggere. La realtà è che andrebbe innanzitutto conosciuto e capito. “Fare fronte” comune contro la malattia ha significato in passato definire limiti precisi. Limiti di mura, ospedaliere o domestiche. Case o istituzioni, come castelli medievali, con profondi fossati, ma senza ponti levatoi che aprono una via all’esterno. Le famiglie si sentono sole, il disturbo psichiatrico isola, crea legami fortissimi in famiglia, per il dolore che genera. Tra le scelte più dolorose resta l’opportunità di affidare un familiare alle cure dell’altro, esperto, specialista. Per fortuna però le cure le fanno anche le PERSONE, esperte e specialiste, non automi disumanizzati. Affrontare significa allora dare l’opportunità a chi vive nella vergogna di uscire con coraggio dalle mura per sentire l’opportunità di essere compreso.
Malattia: impossibile parlarne o definirla in modo breve e coinciso. Malattia, come pure Diagnosi, indica uno stato in evoluzione, un processo dinamico, con molteplici cause ed esiti possibili. Oltremodo strano è pensare che il malato possa essere pericoloso per gli altri prima che per sé stesso, difficile pensare che il malato non sia il più spaventato della propria condizione. Ma la malattia può diventare un’arma se esiste l’esasperazione, quando la risposta dell’Altro non è la condivisione delle scelte di cura ma l’obbligo alla cura, l’imposizione di un sistema focalizzato sul controllo sociale che per difendersi omologa chi soffre. Dare dignità alla malattia vuol dire restituire opportunità a chi della malattia si vuole occupare, con attenzione, professionalità e profonda empatia.
Incontrare: a volte la malattia psichiatrica si incontra, ed è un incontro che sconvolge, spaventa, genera desiderio di allontanarsi. Se incontrare vuol dire mandar lontano e respingere allora i familiari e le persone che vivono con chi soffre non possono fare altro che chiudersi in sé e moltiplicare la sofferenza. Ai malati ed ai loro famigliari chiediamo il coraggio di lasciarsi incontrare, di uscire da un isolamento su di sé. Isolarsi è per paradosso diventato l’unico modo per sentirsi sicuri, la malattia invece può incontrare la società. La sfida contro la paura di guardarsi reciprocamente negli occhi può essere vinta. È importante essere insieme, valorizzare il lavoro di professionisti che sappiano collaborare con il paziente, perché la cura sia partecipata, compresa e condivisa.
Istituzioni: le istituzioni sono il luogo della cura, istituzione è uno studio o una struttura. “Essere in un’istituzione” oggi significa prendersi cura del malato con attenzione e dedizione. Significa guardare la persona e non suscitare sensazioni di intrusione o prevaricazione. A volte servono spazi di lunga attesa, bisogna concedere all’altro il tempo necessario per riconoscere la propria fragilità, a noi starà cogliere il momento e saper intervenire. Non serve la presunzione di risolvere una situazione, non siamo chiamati solo all’urgenza, siamo chiamati alla quotidianità, al lento fluire del tempo e all’accompagnamento delle persone, quando riconoscono con fatica e talvolta disperazione le proprie fragilità. L’istituzione merita ancora un ruolo di primo piano, è punto cardine e fondante della cura e della diffusione della cultura della malattia. Per chi soffre è importante non avere paura dell’altro, sentire che incontrare il proprio disagio psichico è un’opportunità, riconoscere la competenza in chi lo accompagna nella cura. Importante è che gli operatori non si isolino loro stessi, ma che si sentano parte di un sistema riconoscendosi un ruolo in una rete di azioni e di competenze. L’istituzione, privata o pubblica, supporta così chi nel sistema lavora.
Educhiamoci al valore della cultura, del confronto, della conoscenza. Restituiamo dignità e valore al sapere, diamoci opportunità di misurarci, pretendiamo spazi di confronto e riflessione.
Così la malattia farà meno paura e sarà meno brutalmente e banalmente stigmatizzata, perché sarà più compresa.