I “nomadi digitali” sbarcano in Italia: l’ingresso in Italia dei lavoratori altamente qualificati alla luce della recente disciplina di derivazione europea.

I “nomadi digitali” sbarcano in Italia: l’ingresso in Italia dei lavoratori altamente qualificati alla luce della recente disciplina di derivazione europea.
24/07/2024 Studio Incipit

Last April 4, 2024, the long-awaited decree of the Ministry of the Interior, approved on Feb. 29, was published in the Official Gazette, dictating the requirements and procedures for entry into the country for remote workers and so-called digital nomads. The decree was expected in 2022 and regulates the rules to allow the entry into Italy of those “highly skilled workers” who perform their activities through the use of technological tools that allow them to work outside the employer’s or principal’s premises. The rules for the issuance of the European Blue Card have also recently been amended, again at the urging of the European Union, and wish to expand the category of recipients-always highly skilled-who can apply for it.

Lo scorso 4 aprile 2024 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il tanto atteso decreto del Ministero dell’Interno, approvato in data 29 febbraio, che detta i requisiti e le modalità d’ingresso nel territorio nazionale per i lavoratori da remoto e per i c.d. digital nomads.

Il decreto era atteso dal 2022, anno in cui all’art. 27 del T.U.Immigrazione (D.lgs.286/98 e succ. mod.) è stata aggiunta al primo comma, la previsione di cui alla lettera q-bis, al fine di consentire l’ingresso in Italia di quei “lavoratori altamente qualificati” che prestano la propria attività mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di lavorare al di fuori dei locali del datore di lavoro o del committente.

Le forme di lavoro “a distanza’’ sono state estremamente incoraggiate a seguito della pandemia da Covid-19, sia perché hanno consentito di ridurre le occasioni di contagio, sia perché hanno offerto ai lavoratori, dipendenti e non, la possibilità di ottenere maggiore flessibilità nell’espletamento delle proprie prestazioni professionali, permettendo di godere di un vantaggio a cui diventa difficile rinunciare.  Secondo il terzo rapporto nazionale sul nomadismo digitale, ancora oggi non esiste un censimento comune in grado di restituire un’immagine sinottica del fenomeno. La letteratura attualmente disponibile non è unitaria e spesso distribuita tra diverse discipline e diverse prospettive. Il motivo principale è che il termine “nomade digitale” è suscettibile a interpretazioni/ definizioni che fanno sì che non venga identificata una specifica categoria professionale, né tantomeno un target ben definito di persone o un loro preciso “modus operandi”. E’ un dato oggettivo viceversa che il nomadismo digitale, analizzato nella sua accezione più ampia, prospettica e inclusiva possibile, nell’era post pandemica, stia assumendo sempre di più le sembianze di un fenomeno trasformativo dell’era digitale e della società contemporanea. La scarsa tempestività dal Governo italiano nel regolamentare i profili attuativi dell’ingresso e del soggiorno dei lavoratori e lavoratrici stranieri in Italia con caratteristiche professionali alte ed accattivanti per il nostro sistema socio economico, è senz’altro emblematica di un approccio poco lungimirante.

Il decreto oggetto di questa breve analisi contiene una prima differenziazione tra lavoratori da remoto, vincolati da un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione, e nomadi digitali, che sono invece lavoratori autonomi. Per quel che concerne i datori di lavoro e i committenti, secondo la definizione data dal decreto possono essere imprese anche non residenti nel territorio dello Stato italiano.

In entrambi i casi, i destinatari della nuova normativa devono rientrare nella definizione di lavoratore altamente qualificato, dettata nel contesto della disciplina per il rilascio della Carta Blu e contenuta all’art. 27-quater del T.U.I.

Anche questa definizione è stata recentemente modificata, ancora una volta su spinta dell’Unione Europea. Infatti, la direttiva 2021/1883/UE, recepita in Italia oltre un anno dopo l’entrata in vigore, con decreto legislativo n. 152 del 18 ottobre 2023, ha permesso di includere in questa categoria di lavoratori non soltanto coloro che fossero in possesso di un titolo di istruzione superiore di livello terziario, ossia un diploma di laurea almeno triennale o di un diploma rilasciato da un istituto tecnico superiore, ma anche di una qualifica professionale superiore attestata da almeno cinque anni di esperienza professionale di livello paragonabile ai titoli d’istruzione superiori di livello terziario, pertinenti alla professione o al settore specificato nel contratto di lavoro o all’offerta vincolante per cui richiede l’ingresso in Italia.

L’ampliamento della definizione di lavoratore altamente qualificato ha comportato non pochi dubbi interpretativi, con conseguenti problemi applicativi non ancora del tutto risolti.

Invero, fino ancora a poche settimane fa’ il portale ALI, utilizzato dalle Prefetture per collezionare la documentazione richiesta ai fini del rilascio del nulla osta dei candidati alla Carta Blu, faceva riferimento ai soli di titoli di istruzione superiore, per i quali si richiede di consegnare non solo l’attestato rilasciato al conseguimento del titolo studio o di formazione, ma anche una dichiarazione di valore del suddetto titolo, che deve essere tradotto e legalizzato.

La dichiarazione di valore di cui sopra può essere ottenuta al termine di un lungo e costoso procedimento in più passaggi, che coinvolge diverse amministrazioni – in particolare le nostre Rappresentanze consolari all’Estero- allungando non di poco i tempi necessari alla preparazione dell’istanza, che vanno poi a sommarsi ai 90 giorni di cui dispone la pubblica amministrazione per rispondere alla richiesta avanzata.

Stanno già emergendo orientamenti molto disomogenei sull’applicazione delle nuove regole di rilascio della Carta Blu europea che sembrano aver creato un profondo empasse negli uffici prefettizi dedicati alla valutazione delle istanze: il professionista in possesso di titolo di istruzione superiore, che vanti altresì un’esperienza ultra quinquennale nel settore professionale di appartenenza, può ricorrere alla dimostrazione dei soli requisiti di esperienza pluriennale, potendo godere di un’istruttoria più breve e meno macchinosa per provare alla Pubblica Amministrazione di rientrare nell’alveo dei lavoratori altamente qualificati o deve per forza ricorrere alla Dichiarazione di Valore del proprio titolo di studi?

Tale aspetto sembrerebbe ampiamente chiarito dalla circolare del Ministero dell’Interno e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 28 marzo 2024, che infatti ammette l’alternatività, ai fini del conferimento della Carta Blu, dell’allegazione del titolo di istruzione superiore e della qualifica professionale superiore attestata da almeno cinque anni di esperienza. Allo stesso tempo, la circolare citata evidenzia come la dichiarazione di valore sia necessaria ai fini del perfezionamento dell’istanza soltanto in relazione al titolo di istruzione superiore e alla qualifica professionale regolamentata, escludendo esplicitamente che la stessa sia richiesta ai fini della valutazione delle qualifiche professionali attestate da almeno cinque anni di esperienza.

Nonostante le rimostranze degli apparati amministrativi, questa è la strada intrapresa prontamente e con successo dallo Studio Incipit, che ha instaurato un procedimento con cui è stato rilasciato dalla Prefettura- Sportello unico per l’Immigrazione competente per territorio, il nulla osta all’ingresso per Carta Blu UE a due lavoratori altamente qualificati, in possesso di laurea e master rilasciati da università estere, che sulla base della loro vasta esperienza professionale e senza bisogno di allegare la dichiarazione di valore relativa al titolo di istruzione superiore, hanno recentemente ottenuto l’autorizzazione all’ingresso in Italia.

Rispetto alla procedura per il rilascio della Carta Blu, che nonostante le novità introdotte a livello europeo, non sembra essere oggetto di una reale semplificazione a livello nazionale (e dunque di un’adeguata promozione), quella per l’ingresso e il soggiorno per i lavoratori da remoto e per i digital nomads appare più snella. Gli ingressi, come per la Carta Blu, avvengono al di fuori delle quote previste dal decreto flussi, ma non richiedono il rilascio di un nulla osta, limitando ad un unico passaggio davanti al consolato territorialmente competente la procedura per il rilascio del visto d’ingresso.

Inoltre i termini di disbrigo della procedura da parte dei nostri Consolati all’estero dovrebbero essere di 90 giorni per i lavoratori da remoto, e di 120 giorni per i nomadi digitali (freelance).

Per ciò che concerne i requisiti, otre a quello della qualifica professionale di cui abbiamo dato conto, questi sono elencati all’art. 3 del decreto del 29 febbraio:

a) la disponibilità di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore al triplo del livello minimo previsto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (= pari a 25.500€); b) la disponibilità di una assicurazione sanitaria per cure mediche e ricovero ospedaliero valida per il territorio nazionale e per il periodo del soggiorno (su questo punto torneremo in seguito); c) la disponibilità di una sistemazione alloggiativa; d) un’esperienza pregressa di almeno sei mesi nell’ambito dell’attività lavorativa da svolgere come nomade digitale o lavoratore da remoto; e) un contratto di lavoro o collaborazione o la relativa offerta vincolante (nel caso di lavoratori dipendenti – remote worker).

Come appena evidenziato, i requisiti dettati dal decreto del 29 febbraio non sono perfettamente sovrapponibili a quelli previsti per il rilascio della Carta Blu, nonostante le numerose similitudini che intercorrono soprattutto tra i possessori di quest’ultima e i lavoratori da remoto stranieri: in entrambi i casi, infatti, si è in presenza di lavoratori altamente qualificati inseriti in un rapporto di lavoro subordinato che, nel primo caso, si svolge necessariamente presso i locali del datore di lavoro, mentre nel secondo può svolgersi a distanza.

Oltre alla già evidenziata differenza in ordine alla necessità del nulla osta al rilascio del visto per le Carte Blu da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione competente, salta all’occhio l’assenza della previsione di una retribuzione annuale minima per i lavoratori da remoto, prevista invece per i candidati alla Carta Blu per i quali non deve essere inferiore alla retribuzione prevista nei contratti collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e comunque non inferiore alla retribuzione media annuale lorda come rilevata dall’ISTAT. Va detto però che il requisito di una retribuzione minima, che potrebbe scoraggiare i datori di lavoro dall’assumere lavoratori stranieri con la Carta Blu, è compensato dal vantaggio della mobilità intereuropea consentita dai possessori di quest’ultima e non prevista per i titolari di un permesso di soggiorno nazionale.

Ai lavoratori da remoto è invece richiesta un’esperienza pregressa di almeno sei mesi nell’ambito dell’attività lavorativa da svolgere; requisito che non è invece necessario ai fini del rilascio della Carta Blu, forse in virtù del maggiore controllo che il datore di lavoro può esercitare sul lavoratore altamente qualificato che presta la sua attività in sede.

Infine, non è richiesta una durata minima per il contratto che il lavoratore da remoto deve allegare ai fini dell’ottenimento del visto di ingresso, contrariamente a quanto previsto per la Carta Blu (oggi pari ad un minimo di mesi 6), in ossequio probabilmente al carattere ‘’mobile’’ delle prestazioni offerte dal lavoratore da remoto e soprattutto del nomade digitale.

Parimenti lontane appaiono le disposizioni concernenti l’ingresso e il soggiorno dei nomadi digitali rispetto a quelle previste per i lavoratori autonomi, nonostante anche il permesso per i nomadi digitali abbia una durata minima di un anno e sia rinnovabile senza limiti. E’ infatti noto agli esperti di questa materia quanto sia complesso ottenere per il cittadino o la cittadina straniera un visto di ingresso per motivi di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 26 del T.U. Immigrazione, in quanto le norme ed i regolamenti ad esso applicabili, sembrano ormai obsoleti. Da tempo ne auspichiamo una riforma organica che consenta una maggiore e più diffusa applicazione dello strumento.

Sebbene le sopracitate forme di lavoro appaiano paragonabili tra loro, almeno sul piano formale, è evidente che le procedure e i requisiti richiesti al fine dell’ingresso e del soggiorno in Italia non siano egualmente accomunabili. Il legislatore, d’altro canto, nel definire i destinatari del decreto sull’ingresso e il soggiorno dei lavoratori da remoto e dei nomadi digitali, ha mantenuto vaghe le definizioni dell’art. 2 del Decreto del 29 febbraio 2024, lasciando spazio di fatto alle pubbliche amministrazioni per esercitare la propria discrezionalità, ma anche ai candidati all’ingresso per valutare in libertà in quale ambito meglio rientri il loro profilo di lavoratori altamente qualificati.

Prevediamo di assistere ad uno sfidante confronto interpretativo che si realizzerà in primis a livello amministrativo davanti alle Rappresentante periferiche del Ministero dell’Interno per quanto riguarda le richieste di Carta Blu europea, ma anche in sede di presentazione delle istanze dei primi visti degli aspiranti nomadi digitali presso le nostre Rappresentanze Consolari all’estero e molto probabilmente, in seconda istanza, di fronte alle autorità giudiziarie amministrative competenti.

 

Irene Pavlidi

Cristina Delli Carri

Studio Incipit

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