Un ritratto di Benedetta Colombo

L’amicizia percorre danzando la terra, recando a noi tutti l’appello di destarci e dire l’uno all’altro: felice!

Epicuro, Sentenze e frammenti, Dell’amicizia, 138 (in Scritti morali, Bur, 2006)

 

Benedetta Colombo, amica e collega, è scomparsa prematuramente il 28 settembre 2020, non per covid ma nel mezzo dell’anno della pandemia. 

Benedetta ha lasciato un grande vuoto in noi che l’abbiamo amata e frequentata. 

E’ stata lei, infatti, l’ideatrice e la generosa realizzatrice dello Studio Incipit, dove dialoghiamo da sei anni tra legali, esperti in differenti materie, e psicologi di diverse scuole, in un’ottica multidisciplinare, da Benedetta sempre auspicata e perseguita.

Ma Benedetta è una significativa perdita anche per il più vasto mondo della giustizia, specie quella minorile, per il costante impegno nelle associazioni professionali, prima tra tutte la Camera Minorile di Milano. 

Con il ritratto che segue, inevitabilmente parziale, spero emerga nitido il profilo di una professionista contemporanea, mai convenzionale e sempre desiderosa di confrontarsi per innalzare il livello della tutela dei propri assistiti e, in ultima analisi, per contribuire a migliorare il mondo.

Con la speranza che ripercorrere la sua feconda carriera possa servire a coltivarne la memoria, nel solco da lei tracciato per una giustizia più umana e più rispettosa delle vulnerabilità.

Benedetta Colombo, un’illuminista.

Benedetta affrontava i casi andando dritta al cuore del problema, usava la razionalità per dipanare il groviglio delle emozioni, specie rabbie e rancori, che permeano la vasta area del diritto di famiglia e minorile. 

Una collega, ricordandola con affetto, ha evidenziato – con una sintesi perfetta – che Benedetta aveva la giusta dose di entusiasmo ponderato rispetto agli obiettivi.

L’avvocatura dalla parte delle persone, e specie dalla parte dei minori, è stata una professione da lei voluta e perseguita con determinazione, dopo una laurea in Statale a Milano, in filosofia del diritto, sull’abbandono morale e materiale del minore.

Si mette subito alla prova: pratica con l’avvocata Licia Petri, maestra insieme all’avv. Marco Jacometti, entrambi tra i fondatori della Camera Minorile; associazione che l’ha sempre vista protagonista, per molti anni anche come membro del direttivo.

Posso dire senza dubbio che Benedetta è stata proprio e per eccellenza l’avvocata del minore. 

Benedetta come curatore speciale.

Nel suo ruolo di curatore speciale ha dato voce a chi, nel conflitto, non ha mai voce, o perché troppo piccolo per potersi esprimere o perché comunque inascoltato. Vittime degli adulti in crisi, i minori hanno trovato in Benedetta qualcuno che li tutelasse. Benedetta non si faceva sopraffare dalle parti e teneva testa anche a quelle più riottose, schierandosi sempre per l’interesse del minore. 

Consiglio la lettura dello stimolante studio dell’Unione delle Camere minorili, a cui ha contribuito anche Benedetta, che ha cercato di individuare le impostazioni seguite nei tribunali dei minorenni con l’entrata in vigore della legge n. 149/2001 sulla necessità del difensore del minore.

Ricordo delle stimolanti discussioni a Incipit in tema di adozioni. Io, più conformista sull’argomento o comunque meno avvezzo alle complesse implicazioni sul tema, tendevo a enfatizzare la genitorialità biologica. Lei, invece, non ne faceva una mistica e, quando necessario, concludeva risoluta per l’adottabilità dei minori di cui era stata nominata curatrice. 

In altri casi poteva sorprenderti e osservare come anche nel genitore più depauperato o segnato da una malattia psichica potessero esserci delle risorse da valorizzare e che, quindi, il legame con i figli non andasse reciso, adottando le opportune cautele da parte del tribunale per i minorenni. 

Ecco, se posso azzardare una sintesi, quello che mi ha colpito lavorandoci insieme nella fase della maturità è stata la sua capacità di intuire velocemente i problemi e di fare rete con le istituzioni – servizi, consulenti, giudici – per affermare i diritti da tutelare. 

Da qui il suo rammarico – e negli ultimi tempi una vera e propria esasperazione – per la lentezza del tribunale per i minorenni a decidere, lasciando i minori più fragili troppo esposti alle intemperie negli anni cruciali della loro crescita.

Davanti a dei nonni che le chiedevano consigli rassicuranti per ottenere l’affido del nipote lei aveva il coraggio di dire con chiarezza che non ne ravvisava le condizioni e che quel bambino sarebbe stato dichiarato adottabile perché tutto l’ambito familiare era inquinato da problematiche profonde e irrisolubili. Ci vedeva chiaro e non temeva di esprimere un parere non gradito.

A una giovane madre, provata da un lungo trascorso psichiatrico, ma che ce la stava mettendo tutta per curarsi e che l’aveva nominata per assisterla in una procedura di adottabilità del figlio, aperta su segnalazione dei servizi sociali che avevano in carico il minore, offriva consigli realistici su che cosa avrebbe potuto ottenere in concreto, e cioè il mantenimento dell’affido all’ente e l’individuazione di una adeguata famiglia affidataria, tuttavia con la possibilità per la madre di non perdere la relazione.

Benedetta come familiarista.

Quando assisteva una parte non alimentava il conflitto ma cercava di “asciugarlo”.

Governava gli assistiti, convincendoli a rinunciare a pretese infondate per concentrarsi sulle questioni più rilevanti, specie se era in gioco l’affidamento dei figli. Quando il cliente era in crisi, per scelte impegnative da fare o per accordi di separazione urgenti da siglare – e che per partito preso tendeva a osteggiare -, Benedetta non si risparmiava nel tentare di convincerlo. Si appassionava, anche animatamente. La sentivamo incalzare il cliente al telefono o in riunione, sempre convinta che la ragione potesse avere la meglio. Al contrario, poteva liquidare la questione con poche parole, se pretestuosa o inutilmente rancorosa verso la controparte. L’assidua frequentazione delle aule della sezione famiglia del Tribunale e della Corte d’appello l’ha portata a ragionare in profondità sul tema della conflittualità tra i coniugi che stanno separandosi o divorziando. 

Le sue interessanti osservazioni sul passaggio repentino da una conflittualità, tra chi si separa, per così dire “fisiologica” ad un’alta conflittualità (patologica) ci hanno fatto riflettere in studio, in questi anni, su come cambia la famiglia. In una società di figli unici e con un welfare debole, ad esempio, i nonni a cui viene delegata tanta parte di cura dei minori sono molto ingaggiati nei conflitti e, spesso, intervengono a gamba tesa nella crisi di coppia. A volte sono una risorsa ma troppo spesso interferiscono in un processo di separazione più equilibrato. 

A fronte di un aumento dei casi ad alta conflittualità e, conseguentemente, delle perizie disposte dai giudici per giungere a una decisione più congrua, Benedetta riteneva molto importante avvalersi di bravi consulenti che, in sinergia con il legale, possano accompagnare le parti in un percorso di per sé già tortuoso e doloroso. 

Gli aspetti simbolici del matrimonio e della genitorialità, diceva spesso, vengono potentemente ingaggiati quando ci si separa. Per questo sosteneva con convinzione l’utilità del connubio tra diritto e psicologia, ambiti che devono parlarsi e comprendersi, nell’interesse di tutte le parti in causa.

Benedetta come amministratore di sostegno.

Ho conosciuto il particolare ambito delle amministrazioni di sostegno quando abbiamo iniziato a lavorare insieme a Incipit. Se prima mi arrivava solo l’eco delle molteplici mansioni del legale in questo ruolo, è solo vedendo quotidianamente all’opera Benedetta e le altre colleghe di studio, Mariella Ermini e Cristina Luciani, che ho inteso fino in fondo quanto la parola “sostegno” impegni energie mentali e fisiche dell’avvocato. Qui, più che in altri campi, ci si deve immergere nella vita vera e concreta delle persone assistite, perché l’amministratore di sostegno, introdotto dal legislatore nel 2004, si occupa sì di gestire le risorse economiche (raramente ingenti, molto più spesso scarse) di chi è incapace di farlo autonomamente per malattia (o altre fragilità) e per l’assenza o impossibilità di un familiare, ma egli finisce per diventare un punto di riferimento imprescindibile per i beneficiari, e cioè per le persone che ha in carico.

E’ un ruolo che fa sorgere continui interrogativi su come tutelare fragilità e vulnerabilità della persona, specie nella contemporaneità delle metropoli, caratterizzate da estreme solitudini e da disagi mentali. 

Così entravano in studio, ad esempio, i dolorosi conflitti tra una madre anziana vittima delle vessazioni, anche fisiche, di una figlia di mezza età, affetta da una seria patologia psichiatrica e della quale Benedetta era stata nominata amministratore, o le questioni di una giovane straniera con handicap psichico ricoverata da sempre in comunità e delle cui problematiche Benedetta era frequentemente investita, a partire dal suo permesso di soggiorno. Dal parlare con la badante assunta per assistere il beneficiario, al valutare delicate scelte sanitarie in suo favore, fino ad organizzare il funerale quando veniva a mancare e, talvolta, anche a parteciparvi: ecco qui l’umanità di Benedetta in veste di amministratore emergeva con nettezza.

Benedetta Colombo fondatrice e animatrice dello Studio Incipit.

L’esito di questi molteplici livelli esplorati da Benedetta è culminato nell’ideazione, progettazione e realizzazione dello Studio Incipit, una rete di legali e psicologi che condividono uno spazio per pensare e realizzare al meglio le loro professioni.

Negli anni, le mie storie di migranti e di difese in campo penale si sono sempre più intrecciate con quelle delle famiglie e dei minori seguite da Benedetta, entrambi convinti che una condivisione pratica di differenti esperienze e saperi potessero innalzare il livello di mestieri che, come i nostri, sono finalizzati alla tutela dei diritti della persona. 

Entrambi – e proprio nel medesimo tempo di maturazione – siamo arrivati anche alla consapevolezza che l’apporto delle discipline in campo psicologico fosse indispensabile per affrontare la complessità del diritto nei tempi contemporanei. 

Così, con naturalezza ed entusiasmo, Benedetta ha aggregato me ed altri legali e nell’incontro con la psicologa e psicoterapeuta Sara Francavilla nasce questa esperienza di studio multi (o inter) disciplinare denominata Incipit e progettata insieme sin dalle sue prime battute.

Il gruppo si è via via arricchito di nuovi ingressi di legali e di psicologi e, nel periodico ritrovarsi in equipe, ha sviluppato una buona capacità di contaminazione tra le suddette discipline, diventando asse portante del nostro modo di lavorare. 

In primo luogo, il progetto è caratterizzato da un autentico desiderio di ascoltarsi, tra legali che fanno cose diverse – diritto degli stranieri, diritto del lavoro e della previdenza, consulenze nei procedimenti di immigrazione e cittadinanza, diritto di famiglia e minorile – e tra legali e psicologi esperti in svariate aree. 

L’ascolto apre alla contaminazione e dalla contaminazione nascono soluzioni più fantasiose, che spesso si rivelano di grande utilità per chi necessità di un’assistenza.

In una crisi di coppia ad alta conflittualità, la parte che si rivolge a Benedetta per la separazione dal marito e per l’affido dei figli minori accetta di essere guidata dalla psicologa nel rispondere alle pressanti e continue sollecitazioni telefoniche e via mail da parte del coniuge. In equipe ci confrontiamo lungamente su come depotenziare l’aspra litigiosità, che si traduce in grande sofferenza per i figli, attraverso la tempistica e l’uso puntuale delle parole, suggerendo alla cliente di concordarle con chi l’assiste per raffreddare l’emotività e mettere in sicurezza i minori. Anche i risvolti penali della vicenda vengono affrontati con questa chiave di analisi del linguaggio e di accompagnamento della parte a riflettere sugli effetti di continue denunce incrociate: è così che accuse infondate di stalking mosse dall’uno verso l’altra si risolvono in opportune archiviazioni senza ulteriori strascichi.

L’equipe è il luogo dove i primi a mettersi in discussione siamo noi. 

E’ grazie all’equipe che capiamo quanto sia insano identificarsi con la parte – tendenza frequente negli avvocati-, perdendo così di vista sia il quadro d’insieme dentro il quale si opera sia l’equilibrio del proprio ruolo. 

L’equipe affronta nodi spinosi e si allarga anche all’esterno nel tentativo di capire meglio certi fenomeni, come quando attraverso un caso che ci viene portato all’attenzione da una coppia di genitori realizziamo che minori infra-quattordicenni, che frequentano le scuole medie, vengono inviati dalla Procura minori, per condotte dai connotati aggressivi (bullismo con uso dei social), al centro di mediazione dei conflitti, con cui la procura ha una convenzione. Decidiamo, qui, di confrontarci con la criminologa del centro sull’utilità o meno di una mediazione in campo penale tra soggetti non imputabili, non prima di averne discusso animatamente tra noi in equipe. Il risultato è stato quello di un ripensamento del centro su come approcciare la questione con i minori coinvolti e, più in generale, una nostra proficua riflessione su come si stia progressivamente abbassando la soglia dell’età di chi mette in atto comportamenti devianti e sull’importanza di politiche di prevenzione più che di ordine repressivo.

Così lo studio diventa anche un piccolo laboratorio di idee.

Sono stati questi gli anni del dibattito sulle unioni civili, sulle convivenze di fatto e sul ricorso alla controversa maternità surrogata (vietata in Italia ma ammessa in altri stati). 

In un convegno organizzato nel marzo 2015 da Camera Minorile sui nuovi modelli di filiazione dal titolo “Mater semper certa”, Benedetta è intervenuta, in dialogo con una psicoterapeuta e perito del tribunale, con un focus sull’interesse del minore in queste situazioni. Il giorno prima, in equipe, avevamo discusso animatamente sui profili etici e psicologici che la spinosa questione della surrogacy” pone e, giustamente, Benedetta si chiedeva che vantaggi avrebbero avuto i figli di una coppia che ne era  ricorsa all’estero dalla non regolamentazione dei suoi effetti in Italia. 

Nel 2016, in vista dell’approvazione della legge Cirinnà (l.76/2016) sulle unioni civili e convivenze di fatto, Benedetta introduceva e coordinava un interessante convegno della Camera Minorile e dell’Unione nazionale delle camere minorili sulle nuove prospettive aperte dal progetto in discussione in Parlamento. Sempre schierata per il riconoscimento e l’ampliamento dei diritti civili, Benedetta affrontava il tema senza alcuna retorica. Era rammaricata per lo stralcio della “step child adoptioncome compromesso per il varo definitivo della legge ma è sempre stata ottimista sul riconoscimento dei diritti all’altro genitore da parte dell’autorità giudiziaria (tendenza in effetti che si è affermata nel tempo); sebbene fosse consapevole del (e stigmatizzasse il) rischio di disomogeneità sul territorio nazionale a livello di prassi dei tribunali e della possibile discriminazione per censo nell’accesso al percorso legale. A distanza di qualche anno dall’approvazione della legge, iniziava a misurarsi anche con le crisi dei partners di un’unione, con implicazioni – e rivendicazioni -identiche a quelle della fine di un matrimonio.

Auto-formazione interna allo Studio e proposte formative all’esterno sono stati altri punti salienti del lavoro comune.

Una prima e stimolante occasione per misurarci all’esterno è venuta dalla facoltà di psicologia dell’Università di Aosta, in una giornata di formazione per avvocati, psicologi e operatori sociali sul tema delle situazioni familiari conflittuali, nelle quali alla luce dell’esperienza avviata da Incipit ci si è confrontati in merito alla collaborazione tra le figure professionali e istituzionali nella gestione del conflitto. Il filo rosso della giornata è stato quello dell’importanza di costruire un linguaggio comune, focalizzandosi Benedetta su temi a lei cari, con un intervento dal titolo paradigmatico “avvocati, curatori, servizi psico-sociali: amici-nemici”.

Le migrazioni sono state sempre oggetto di grande interesse per tutti noi dello Studio e, a più riprese, siamo stati chiamati a formare operatori di cooperative attive nei servizi di accoglienza per i richiedenti asilo sui profili normativi della materia, ma anche, grazie all’apporto delle familiariste e degli psicologi, sui risvolti traumatici che accompagnano il fenomeno e sulle complesse implicazioni con il diritto minorile. 

Negli ultimi anni, a seguito dell’approvazione della legge Zampa sui minori stranieri non accompagnati (l. 47/2017), Benedetta e altri di noi abbiamo contribuito ai corsi di formazioni per i tutori volontari, introdotti dalla riforma, organizzati da Camera Minorile in sinergia con la Città metropolitana di Milano, il Comune di Milano ed altri soggetti, sia per gli aspetti civilistici e minorili, sia per i profili di diritto degli stranieri.

L’autoformazione ha significato, ad esempio, dedicare delle equipe a temi importanti ma a molti di noi del tutto sconosciuti, come quelli pensionistici, che attraversano le nostre materie e si intrecciano con questioni psicologiche legate alla terza età di alcuni assistiti. Grazie a Raffaella Restuccia, la nostra consulente esperta in previdenza sociale, il gruppo ha esplorato nuovi territori, uscendone stimolato e arricchito. 

Mi avvio alla conclusione ripercorrendo il dibattito, che ha attraversato a più riprese le equipe, sulla proposta di organizzare un momento di confronto pubblico, aperto a tante e differenti competenze, sul tema delle paure. Ci siamo interrogati a lungo negli anni delle grandi paure – molto alimentate anche dai media – dell’immigrazione, del fondamentalismo islamico, del terrorismo internazionale e prima di quelle di ordine sanitario provocate oggi dalla pandemia, sulle ragioni, spesso irrazionali, che spingono gli individui ad avere paura, specie dell’altro. Abbiamo considerato gli aspetti sociologici – la crisi della società, della comunità, della famiglia – e quelli psicologici, ma ci sarebbe piaciuto esplorarne anche i livelli antropologici e filosofici. 

Avremmo voluto far coincidere questa riflessione ‘alta’ con un compleanno di Incipit, ma non ce l’abbiamo fatta perché travolti dalla quotidianità, e questo è stato motivo di rammarico. 

Tuttavia, abbiamo imparato, praticando questo metodo della condivisione, che anche noi avvocati possiamo essere, in parte, un antidoto alle paure che ogni assistito si porta con sé. 

Possiamo cioè aiutare gli assistiti a ridurre il loro carico di paure non negandole – perché anche queste emozioni hanno una loro importante funzione – ma depotenziandole attraverso una messa in sicurezza dei loro diritti fragili. La gestione delle paure della contemporaneità spetta quindi anche a noi legali, attraverso le parole che utilizziamo, gli atti che scriviamo e le difese che costruiamo.

Ecco se penso a quanto mi ha lasciato Benedetta – e ci penso spesso -, per prima cosa mi viene in mente questo suo prezioso insegnamento sul fare rete per mettere in sicurezza i diritti, partendo da noi, dall’esperienza quotidiana, dal caso per caso. 

 

Paolo Oddi