Interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno sono strumenti giuridici di cui si è forse sentito parlare, ma quando si vive un problema attuale e stringente è necessario ricevere chiarezza e conoscenza sulle opportunità e le soluzioni cui è possibile accedere.
Cristina Luciani, avvocato e mediatrice familiare,ce ne parla nell’articolo che segue
Con l’allungamento della durata della vita sempre più spesso le famiglie si trovano a dover gestire genitori molto anziani che, a causa dell’età o di malattie come l’Alzheimer, non sono più in grado di occuparsi dei loro interessi. Frequentemente i figli, se non vi sono particolari conflitti o complesse situazioni patrimoniali, riescono però a gestire, seppur con fatica, gli aspetti della vita dell’anziano siano essi patrimoniali o relativi alle scelte mediche.
Tuttavia talvolta nelle famiglie c’è una zia non sposata e senza figli, che è sempre vissuta da sola e che, magari, non ha mai brillato per simpatia. Ma capita anche alle zie inacidite di invecchiare e di cominciare ad avere bisogno di qualcuno che si occupi di loro. Può iniziare a dimenticare di effettuare qualche pagamento, di uscire per far la spesa e non trovare più la strada di casa, di dare fiducia a loschi individui e, magari, una vicina premurosa avvisa l’unico nipote noto. Quest’ultimo si preoccupa, contatta gli altri parenti, ma nessuno ha tempo o voglia di occuparsi di quella zia. Qualche parente la fa semplice, dice: “assumiamo una badante o la ricoveriamo”. Per fare tutto ciò serve però qualcuno che se ne occupi, che possa agire in nome della zia, anche per capire se può sopportare la spesa. Tutti sono troppo impegnati e il parente più diligente si trova da solo a dover gestire il futuro di una persona anziana per la quale si sente comunque responsabile. Ma le domande poi si susseguono: chi deciderà cosa fare quando la sua salute peggiorerà? Chi decidere cosa è meglio per lei? Chi pagherà la badante? Spesso ci si trova confusi e spaventati di fronte a questo obbligo morale.
Parlando magari con qualche conoscente ci si sente suggerire di rivolgersi ad un Giudice Tutelare per ottenere l’interdizione della zia. Il suggerimento si fa strada, ma in realtà lascia ancora molti quesiti aperti. E poi, quella parola.. interdizione.. fa sentire in colpa perché nell’immaginario comune è sintomo di una incapacità gravissima. Sarà davvero da far interdire la zia? E’ così mal messa? Magari è solo un po’ distratta, e poi, come glielo dico che voglio farla interdire?
In realtà l’ordinamento italiano prevede diverse misure a tutela delle persone prive in tutto od in parte di autonomia, quali: l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno.
Quest’ultimo istituto è stato introdotto dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6 ed ha fornito un nuovo strumento a tutela delle persone fragili, più flessibile rispetto ai tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, deputati sino a quel momento a regolamentare le due sole forme legali di tutela a soggetti totalmente o parzialmente incapaci, in modo da dare una adeguata risposta alla variegata gamma di disabilità che possono colpire la persona incidendo in modo e con intensità differenti sulla sua autonomia.
Interdizione e inabilitazione, infatti, comportavano l’ablazione totale o parziale della capacità di agire, con effetti a volte sproporzionati rispetto alle reali necessità di protezione del soggetto il quale, una volta dichiarato interdetto o inabilitato finiva con l’essere quasi emarginato socialmente.
Tali strumenti paiono oggi assolutamente residuali per l’esigenza di determinare il minore sacrificio possibile dell’autonomia del soggetto debole calibrando la misura di protezione sulle sue specifiche esigenze personali e patrimoniali.
Nel caso quindi di una parente in difficoltà, il coniuge (o la persona stabilmente convivente), i parenti entro il 4° grado, gli affini entro il 2° grado, possono chiedere la nomina di un Amministratore di Sostegno nella persona di un parente, ove ritenuto opportuno e vi sia la disponibilità dello stesso, oppure di un soggetto terzo.